Una sera di luglio di qualche anno fa, con la ragazza del tempo, abbiamo deciso di andare a fare aperitivo “verso la montagna”, perché nelle zone di Catania più vicine al mare si moriva di caldo. Ero già in sedia a rotelle ma avevo un po’ più di forza ovunque, soprattutto nelle braccia e nel collo. Il momento dell’aperitivo fu piacevole, non c’era confusione, il vino era buono e c’era un bimbo che giocando ci girava intorno.

Finito l’aperitivo, abbiamo intrapreso la strada di ritorno verso la macchina. Il marciapiede era un po’ in discesa, io odio le discese, soprattutto quando la pavimentazione è sconnessa e le ruote della sedia mi si potrebbero bloccare tra le mattonelle. Quindi sto sempre tutta tesa sperando di non finire con la faccia sul pavimento. Ho fatto lo stesso quella sera e non mi resi conto di un uomo e una donna seduti su una panchina accanto all’entrata di una pizzeria d’asporto. Loro però si accorsero di noi, attirarono la nostra attenzione, perciò facemmo retro marcia e cominciammo a parlare.

La conversazione all’inizio fu abbastanza tranquilla, piacevole, finché d’un tratto la mia disabilità o meglio: la percezione della mia disabilità mi investì.

Io pensavo che per loro fossimo due amiche che erano andate a farsi una passeggiata. Mi sbagliavo! L’uomo disse guardando la mia ex: “vabbè quando avrai il fidanzato non avrai tempo di uscire con lei (me)”. Quindi io capii: loro vedevano una ragazza normodotata che portava a passeggio una ragazza disabile. Indipendentemente dal reale ruolo nella mia vita di quella ragazza che dietro di me mi accarezzava i capelli, lei mi stava facendo un favore e non avevo altre amiche o amici. Non hanno mai pensato che magari era lei che voleva stare con me, che voleva parlarmi, confidarsi, sfogarsi oppure ascoltarmi. Mai pensato che forse sono una delle persone più umilmente interessanti e divertenti, accoglienti, e simpaticamente rompi palle che esistono. Oltre quella sedia a rotelle io non esistevo, non ero qualcuno. E sorrisi, non dissi niente. Ero solo un corpo immobile, sorrisi perché mi ci sentivo davvero.

A volte succede ancora adesso quando mi sento in dovere di spiegare perché fare “cose” anche se con un corpo immobile, stanca tanto quanto. Chissà perché nessuno ci pensa mai, quando ha questa idea della disabilità, che il corpo è solo una parte di noi e un giorno sarà solo una parte di tutti. Che l’amore, l’accoglienza, l’accettazione, la creatività, le cose buone, le cose cattive, le battute, la verità e la bugia, la comunicazione, i fatti, vanno oltre una corsa al parco. Che i favori li faccio anche io, che la pazienza messa in campo è anche la mia, perché non avere una disabilità non rende persone più piacevoli ed essere persone disabili non ci rende sante o santi. Io non ho il dovere di sopportarvi, di accollarmi a chiunque pur di uscire, di essere sempre buona e gentile e profonda. O di sorridere sempre per dimostrarvi che anche un destino infausto può essere affrontato. Io a volte vorrei mandare tutti a fanculo. L’amore non lo devo elemosinare, non devo sempre dimostrare che valgo. Non devo giustificare parole di merda perché sono disabile. Non ho il dover di ringraziare sempre, lo faccio perché sono educata. Non ho il dovere di rimanere sola, e non è scontato che succeda. Non ho il dovere di sentirmi un peso. Il mio dovere è di essere una brava persona, di non farmi schiacciare, di fare del bene, di fare quello che mi fa stare bene e di essere felice e in fondo non sono i vostri stessi doveri?

4 risposte a “Post lungo lunghissimo”

  1. Che bella scoperta sei, di prima mattina! Io che di anni ne ho tanti più dei tuoi, e che “normodotata” lo sono stata soltanto per i tredici primi mesi della mia vita, senza conservarne alcun ricordo, nelle tue parole scritte mi vedo riflessa ma alla tua età non avrei avuto il “coraggio” di scriverle. Buona giornata, “collega”… 🙂❤️

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    1. Grazie per ciò che hai scritto ☺️❤️ mi fa piacere che in qualche modo io riesca a dare parole ai pensieri di qualcun altro. Buona giornata anche a te “collega”

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