Ehi, com’è? Tutto bene? Che fai? Cioè so cosa fai ma dove sei? Sei dentro un Martini Royal senza Martini? Nel fumo della mia sigaretta? Nel rumore del ventilatore o in quello del frigorifero? Potresti essere ne “L’illusionista” di Chomet? Nell’odore dell’estate e della pioggia? In quella sera in cui non mi accorsi che qualcuno mi guardava? Forse sei nei miei capelli oppure nei capelli di qualcun altro. Fai su e giù fra petto e stomaco. Stai seduta, a volte, così elegantemente che ti guardo piuttosto che scacciarti. Invece di dirti che non c’è posto per te qui con me, io ti guardo specchiandomi sulla vetrinetta della cucina.

E da dove arrivi? Di cosa dovrei avere paura? Anzi, no! Dimmi di cosa non dovrei averne, di cosa non mi dovrei vergognare. Ho imparato a respirare mentre mi stringi la gola e a mandarti via senza farti del male, senza procurarci dolore. Ti ho lasciato guardare, ti ho permesso di arrivare dopo il piacere e dopo il terrore.

Sparisci a volte, lo fai all’improvviso e non dico che non ti penso. Io ti penso in realtà come si pensano i primi amori e anche i secondi, perché a volte sei “ansia bella”. Ma tu, ansia, non sei amore. Sei incomprensibile, sei il mio corpo teso, il mio cuore che batte velocemente, la mia voglia di piangere, sei il sintomo dei miei pensieri, delle scenografie dei miei ricordi. Sei me, mentre cerco di camminare fino alla porta di casa e cado perché ho provato a muovermi dimenticando che non posso farlo.

Quindi non cercarmi se non sei “ansia bella”, non rispondermi se non sono scuse, non farmi del male perché la verità è che non ne ricaverai niente e non ci sarà nessuna riconsiderazione delle tue azioni, nessun perdono, solo l’accettazione che ti insinui dentro di me passando dalle ferite.

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