La forma del mio sguardo, per la maggior parte del tempo, misura 16 e 42 pollici. Queste sono le misure di schermi verso i quali, molto metaforicamente, allungo le mani per poter afferrare tutto quello che offrono. Quando il covid ha fatto scoprire all’Italia le possibilità del remoto io ho potuto partecipare alle lezioni universitarie, agli eventi online, ai corsi di formazione. Prima spesso rinunciavo perché l’organizzazione per spostarsi e le spese economiche facevano diventare tutto soltanto stressante ed il tempo se ne è andato portandosi dietro i miei muscoli. Adesso quando insegno non devo necessariamente spiegare perché spostarmi per me sia complicato. Anche se devo ancora spiegare perché un luogo deve essere reso accessibile indipendentemente dal numero di persone con disabilità che potrebbero volervi accedere.

Prima del covid, mi ero disabituata ad essere vista, e in certi periodi vivevo la mia personale quarantena. Dover tenere la webcam accesa durante le lezioni che avevo smesso di seguire, mi permise di familiarizzare nuovamente con il mio volto guardato da altri e che io non guardavo più. Di iniziare ad allontanarmi dall’idea che fosse il mio corpo a definire le mie possibilità e capacità. Ma il “da remoto” non è la norma in tutte le realtà, perciò quando mi avvicina al presente poi arriva  sempre il momento in cui qualcuno mi ricorda che comunque sono lontana. Perciò mi sento persino in debito quando chiedo questa possibilità, e poi devo dimostrare quanto ne sia valsa la pena… Pensandoci bene, alla fine, potrei preparare un corso online in cinque lezioni su come allevare all’aperto sensi di colpa ingiustificati, ma solo per perditempo.

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